Grana Padano protagonista in piatti d'autore
Al palato ha un gusto nel complesso delicato, dato che la maturazione delle proteine del latte non è ancora accentuata e, conseguentemente, il descrittore più comune per gusto ed olfatto è il latte crudo. Il Grana Padano DOP - “Oltre 16 mesi” è un formaggio la cui maturazione è stata protratta ben oltre il periodo minimo previsto e che presenta caratteristiche diverse. Risultano particolarmente evidenti la tipica struttura granulosa della pasta e la frattura a scaglia della medesima, caratteristiche che si accentuano sempre più con il progredire della stagionatura e con la progressiva riduzione dell’umidità che essa comporta. Dal punto di vista gustativo, a seguito dell’accentuata maturazione delle proteine del latte, il formaggio presenta un gusto saporito pronunciato, mai piccante, con un profumo e un aroma che ricordano la frutta secca e il fieno. In questa tipologia di prodotto risulta già ben delineata la percezione sotto i denti di una sabbiosità, che costituisce una caratteristica sempre più apprezzabile quanto più progredisce l’invecchiamento del formaggio e che è dovuta ai cristalli di calcio lattato che si formano nella struttura granulosa della pasta. Può essere individuato come “RISERVA” un formaggio Grana Padano stagionato per almeno 20 mesi dalla formatura nella zona di produzione. È un prodotto con caratteristiche peculiari di grande pregio, che viene selezionato attraverso un esame approfondito e completo, che riguarda l’aspetto esterno della forma, la struttura della pasta, il colore e le caratteristiche organolettiche. Il formaggio rientrante in questa categoria è in grado di raggiungere stagionature particolarmente prolungate, fino a 24 mesi ed oltre, acquisendo un sapore sempre più ricco e pieno, senza tuttavia risultare mai aggressivo.



Carta d'identità
All’epoca del regno di Federico I Barbarossa, attorno all’anno mille, la Pianura Padana era una fascia di territorio caratterizzata da ampie zone paludose e ricoperta di selve e foreste. Qui i monaci cistercensi benedettini avviarono un’imponente opera di bonifica e di disboscamento, rendendo così i terreni fertili e consentendo agli abitanti di dedicarsi con successo all’agricoltura e all’allevamento del bestiame da impiegare per la produzione del latte e per il lavoro dei campi. Ben presto, tuttavia, si avvertì la necessità di poter conservare il latte prodotto in eccesso. Allora i monaci, già abili produttori di formaggelle, utilizzando il calore riuscirono a produrre un cacio più consistente e di più lunga conservazione. Nacque così un formaggio a pasta dura, il “caseus vetus”, cacio vecchio, poi denominato “grana” in funzione dell’aspetto che tuttora caratterizza la pasta. Alla fine dell’ XI secolo questo prodotto era già una realtà affermata, con una vera e propria rete commerciale. Sotto Federico II, agli inizi del XIII secolo, veniva impiegato come merce di scambio e di pagamento, rappresentando anche un dono di valore e prestigio. Era il 1477 quando il Confienza già descriveva il grana come il formaggio più famoso d’Italia, indispensabile sia al suntuoso banchetto di corte, che alla sopravvivenza delle genti di campagna durante i tempi di carestia. Durante il XIX secolo, con la costituzione del caseificio come entità autonoma, si realizzerà il salto di qualità dal punto di vista del processo produttivo di tale formaggio. Da allora ad oggi la produzione del Grana padano prosegue, nel rispetto della tradizione. Il Grana Padano è un formaggio DOP che, come prevede il disciplinare produttivo, deve essere prodotto con latte crudo di vacca, proveniente da non più di due mungiture giornaliere e prodotto solo in caseifici autorizzati dall’ente certificatore. Il latte parzialmente scremato per decrematura naturale è trasferito in caldaie tradizionali in rame a doppio fondo della capacità tale da ricavarne, al massimo, due forme. Al latte si aggiunge il siero naturale. Questo starter è costituito da una coltura naturale di batteri lattici che si sviluppano nel siero proveniente dalla precedente caseificazione. Il latte inoculato viene riscaldato a 31-33° C, addizionato di caglio di vitello per la coagulazione. La cagliata è rotta in grani della dimensione di chicchi di riso e cotta tra i 53-56° C sotto agitazione. Interrotto il riscaldamento, i granuli di cagliata si depositano sul fondo della caldaia dove si aggregano e sono mantenuti per 30-70 minuti sotto il siero ad una temperatura non superiore a quella di fine cottura. Dopo due giorni dalla produzione il formaggio, che ha assunto nelle fascere la caratteristica forma cilindrica, si immerge in una soluzione di acqua e sala per la salatura della pasta. L’operazione ha una durata variabile, normalmente compresa tra 16-25 giorni, in funzione del tipo di salina, della dimensione delle forme, del livello di salatura richiesta. Tolta dalla salamoia, le forme sono trasportate nella “camera calda” o locale di stufatura, dove rimangono alcune ore per asciugarsi, quindi si procede all’ultimo trasferimento per sistemare il formaggio nel magazzino di stagionatura. Quest’ultima avviene in ambienti ben coibentati, dotati di moderni sistemi di controllo della temperatura, dell’umidità e dell’areazione necessarie. Durante il lungo periodo della stagionatura, il Grana Padano subisce una serie di mutamenti fisici, chimici e microbiologici che si riflettono sulle sue caratteristiche organolettiche. In questo periodo le forme vengono curate, pulite e girate circa ogni quindici giorni. A tempo opportuno le forme di Grana Padano sono esaminate con i tradizionali strumenti di controllo: il martelletto, l’ago, la sonda e, se è utile per accertamenti più sicuri, la spaccatura. Il martelletto, piccolo attrezzo di acciaio dal peso ben distribuito e opportunamente bilanciato su tutto il volume, è l’insostituibile strumento della battitura della forma, effettuata soltanto da pochi ed abili esperti, che può svelare la formazione di occhiature irregolari all’interno del formaggio, oppure rivelare fessurazioni della pasta, difetti dovuti a fenomeni fermentativi anomali. L’ago, dalla lunga estensione a spirale, è invece conficcato nella forma per verificare l’odore e il sapore della pasta. Se si vuole essere completamente certi della qualità della pasta, si può procedere al prelievo di una quantità di formaggio, del diametro di circa un centimetro e lunga 7-8 centimetri, utilizzando una piccola sonda. Dall’esame della carota si rivelano il colore, il profumo, l’elasticità della pasta e la presenza o meno di difetti. Solo sul formaggio rispondente ai requisiti, gli addetti dei caseifici consorziati appongono il marchio a fuoco che laurea la forma come “Grana Padano”, sotto il controllo del personale del consorzio per la tutela del formaggio Grana Padano e dell’ente certificatore. La marchiatura di origine ha la funzione di attestare l’origine del prodotto e si compone dei seguenti elementi: la placca di caseina. Inserita sul piatto della forma al momento della formatura, diviene un tutt’uno con la crosta del formaggio. Reca la scritta “GRANA PADANO”, i codici identificativi della forma, grazie ai quali è garantita in modo puntuale la tracciabilità del prodotto, e la scritta GARANTITO dal MIPAAF ai sensi dell’art. 10 del Reg. CE 510/2006; il quadrifoglio, che viene impresso alla nascita della forma, quando la cagliata viene stretta nelle fascere. È il marchio che certifica la provenienza della forma, riportando al suo interno la sigla della provincia ed il numero di matricola del caseificio produttore, oltre alla dicitura DOP; le losanghe tratteggiate vengono impresse mediante le fascere. Riportano al loro interno alternativamente le diciture “PADANO” e “GRANA” e sono ripetute in continuo sullo scalzo per tutto il giro della forma, consentendo di identificare il Grana Padano anche quando viene venduto in pezzi; indicazioni del mese e dell’anno di produzione; il bollo CE. Il Grana Padano sorregge l’intera zootecnia di latte italiano e buona parte delle più importante colture agronomiche, con un indotto che coinvolge decina di migliaia di famiglie. Il disciplinare è il frutto della raccolta delle procedure tradizionalmente impiegate per questa produzione. Le prerogative salienti sono: stretto legame con il territorio; sistema produttivo rispettoso della tradizione, basato sull’impiego prevalente di foraggi aziendali, su un attenta gestione dell’alimentazione, dai foraggi ai mangimi e agli additivi; attenzione all’ambiente, al benessere animale ed alle esigenze dei consumatori in termini di qualità e sicurezza.