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Casolet

La pasta è mediamente morbida e compatta con una piccola occhiatura. Il formaggio fresco è di colore bianco, mentre quello più stagionato tende all’avorio; il profumo è caratteristico ed il sapore è dolce e delicato. Consumato fresco o semi stagionato, si esprimono bene i sentori lattei ed erbacei, la grande morbidezza al palato e le sensazioni gustative che vanno dall’acido al dolce. Nelle versioni più stagionate, è possibile degustare una maggiore complessità organolettica, dove le note erbacee rimangono comunque in evidenza. La crosta è sottile e sulla sua superficie si sviluppa una caratteristica muffa bianca a pelo corto, simile a farina dal tipico profumo di miceto. A maturazione avanzata la crosta diventa più rugosa e di color grigio marroncino. 

Carta d'identità​



Il nome Casolet ha una duplice origine. La più antica risale al termine latino “Caseolus” che significa piccolo formaggio; la seconda, invece, proviene dal nome usato per gli abitanti di alcuni paesi trentini che venivano chiamati casoletti. L’area di produzione è dominata dall’imponente massiccio dell’Adamello e si estende dal comprensorio lombardo del Sebino e della Valle Camonica attraverso il passo del Tonale sino all’alta Val di Sole in provincia di Trento. In Val di Sole, il Casolet è prodotto da molto tempo, certamente ancora prima della seconda guerra mondiale. In casa, nei caseifici di turnazione e prima ancora “a prestanza del latte”, ora nei moderni caseifici cooperativi di fondo valle. Il Casolet, insieme alle formaggelle, rappresenta un prodotto tipico dei caseifici della montagna bresciana che, strettamente legati all’antica tradizione zootecnica di queste zone, erano una volta presenti quasi in ogni comune e consentivano la rapida trasformazione in formaggi e burro del latte appena munto. In generale, si può affermare che il Casolet era il formaggio di casa per eccellenza che veniva consumato in famiglia, nei mesi invernali. Anche per il Casolet, come per la maggior parte dei formaggi di montagna, l’innovazione non ha significato l’abbandono delle produzioni tipiche, ma lo studio delle caratteristiche peculiari di ogni formaggio ha consentito e ne consente ancora oggi la produzione nel rispetto della tradizione, ma anche secondo criteri di qualità e di convenienza economica. La lavorazione prevede l’uso di latte crudo di una o due mungiture, parzialmente scremato per affioramento. Il latte viene versato in caldaia e portato a 30-34° C. A questo punto viene aggiunto il caglio liquido di vitello e, dopo circa mezz’ora, si ha la coagulazione. La cagliata viene poi frammentata in modo grossolano e cotta, mantenendo agitata la massa fino a 46-47° C. Finite queste operazioni, la massa caseosa, dopo un periodo di riposo che favorisce la separazione del siero, viene estratta e messa nelle fascere affinché acquisti la forma voluta. La salatura viene fatta a secco o in una salamoia leggera per circa sei ore. Segue la stagionatura da 20 a 60 giorni. All’origine il Casolet non aveva una forma propria, a causa del costo considerevole degli stampi. La cagliata veniva raccolta dalla caldaia tramite un panno di lino e riposta sul tavolo spersorio per la scolatura. A scolatura ultimata, la cagliata, appiattita e di forma simil-circolare, veniva suddivisa in porzioni più piccole: casualmente poteva quindi avere una forma triangolare con un lato arrotondato, oppure aveva la forma di un quadrato o di un rettangolo irregolare. Quando da un’economia di sussistenza, legata alla necessità e alla praticità, si passa ad un’economia di mercato, legata soprattutto al profitto, diventa importante anche l’immagine: il prodotto deve essere costante anche nella forma e quindi il Casolet diventa triangolare. Un tempo il Casolet era messo ad asciugare sopra sacchi di iuta, dei quali purtroppo prendeva l’odore tipico: un difetto dovuto all’uso improprio di materiali disponibili a basso costo, ma certamente non adatti all’uso.La pasta è mediamente morbida e compatta con una piccola occhiatura. Il formaggio è tutelato da un presidio Slow Food, che si propone di valorizzare il Casolet prodotto tradizionalmente a latte crudo, riunendo alcuni piccoli casari. Le quantità sono minime ma l’obiettivo è stimolare la ripresa della produzione a latte crudo, anche nei caseifici, come accadeva fino a qualche anno fa.

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